Valhalla rising, di Nicolas Winding Refn. Con Mads Mikkelsen, Gary Lewis, Jamie Sives, Alexander Morton, Ewan Stewart. Anno 1000. Un guerriero vichingo, muto e con un occhio solo, tenuto schiavo per anni, riesce a liberarsi e ad uccidere chi lo teneva prigioniero. Accompagnato da un ragazzino, sulla sua strada incontra un gruppo di crociati cristiani, diretti in Terra Santa. Si unisce ad essi, ma il loro viaggio non li porterà alla destinazione desiderata, bensì da tutt'altra parte del mondo. Il film di Nicolas Winding, già autore dell'interessante Bronson, è un viaggio surreale ed estremo nel mondo della violenza, quasi che il climax temporale sia escluso dalle canoniche lancette, ma crei un mondo astratto e brutale. Della mitologia nordica, nonostante il titolo, se ne intravede poco o nulla, quasi il regista abbia voluto utilizzarla solo come punto di netto distacco tra il guerriero guercio (un bravissimo Mads Mikkelsen che, nonostante non dica una parola dall'inizio alla fine per colpa del suo handicap, è anima portante di tutta la vicenda) e i cavalieri cristiani, che rimane uno dei punti cardine su cui si fonda l'intera base narrativa. Lunghi silenzi, dialoghi brevi e asciutti, visioni di estremizzazione cromatica intensa, splendidi paesaggi per una pellicola atta a trascendere, nella sua crudezza più pura, il potere e la bramosia della violenza più brutale. Il viaggio di One Eye e dei suoi "compagni" forzati non è un'impresa semplice per lo spettatore: Valhalla Rising è arduo, carico di un asprezza esasperata e voluta, ostico ma non pretestuoso nella sua dolente narrazione della vita e la morte. Ma allo stesso tempo è ricco di un fascino, forse malsano, che potrà conquistare alcuni e inorridire altri. Ma è anche questo il bello del Cinema. Scomodo.