Noto sempre più spesso questo tipo di atteggiamento.
Un tempo quando non era chiaro un qualcosa in un film/serial/quel che vi pare lo spettatore dubitava innanzitutto di sè stesso. Forse mi sono addormentato, forse non ho capito, forse dovrei rivederlo, forse non ho capito cosa voleva dire con quella scena.
E' un discorso complesso, perché qualsiasi film/serial/ecc. (diciamo qualsiasi opera di narrativa) punta a produrre degli effetti sullo spettatore.
L'unico modo per capire se l'opera ha avuto successo è verificare se l'effetto voluto si è effettivamente prodotto, alle condizioni stabilite dall'autore. Quest'ultimo passaggio è il passaggio chiave: "condizioni dell'autore" significa che bisogna guardare al target di riferimento, nonché alle condizioni di fruizione che l'autore aveva in mente. Quindi lo spettatore "che dorme", ovviamente, non vale. E non vale nemmeno lo spettatore fuori target (es. una nonna che guarda un film di supereroi o un distrattone che guarda un thriller complicatissimo).
Una volta rispettate queste condizioni, la responsabilità è sempre dell'autore, che ha il compito di far sì che l'effetto voluto si verifichi. Se scrivo un giallo destinato a essere letto UNA SOLA VOLTA da trentenni di media intelligenza, e la trama non la capisce nessuno, è colpa mia (diverso il caso se VOLEVO creare un giallo complicato da leggere più volte).
Naturalmente il mio è un discorso parziale, riferito alla sola cosa "misurabile", cioè il rapporto tra voluto e realizzato. E' evidente, poi, che un'opera può produrre effetti ulteriori rispetto a quelli voluti dall'autore (es. lo spettatore trova qualcosa in più), o piacere anche a spettatori fuori target. E' il bello della narrativa. Ma questi casi non sono misurabili, perché non rientrano nelle intenzioni dell'autore, che non ha né colpe né meriti se si verificano.