Ciao ragazzi, ultimamente sono andato a ripescarmi un articolo di 3 pagine scritto da Darby McDevitt su Gamasutra. Darby è uno sceneggiatore di videogiochi e tratta un argomento molto delicato in questo articolo che, sicuramente, dividerà il pubblico in due. Però, dato che Darby è una persona intelligente e che l'articolo vale molto, vi consiglio di leggerlo, può essere illuminante. E' una persona davvero deliziosa con cui ogni tanto parlo su twitter data la sua disponibilità nel rispondere ai fan o giocatori qualunque. Questa è la prima pagina su tre, il resto non so se riuscirò mai a tradurlo:
Articolo del 2010 scritto da McDevitt per Gamasutra.
La morte del gioco narrativo
E' stato un anno fantastico per i giochi incentrati sulla narrazione, giochi vasti e con grandi ambizioni e mi sono fatto strada combattendo tra i migliori.
In questi ultimi mesi ho trasformato un nobile fiorentino assetato di vendetta nell'Italia rinascimentale, mi sono mascherato in un giramondo alla ricerca di un tesoro e ho viaggiato nel selvaggio west come un combattente solitario, segnato dalle battaglie per ripristinare la sua dignità e tornare dalla sua famiglia.
Per l'orecchio di un esperto questo potrebbe suonare tutto piuttosto normale, tutto diverso, ma c'è un elemento che rende uguali tutti questi titoli: in ogni gioco, il protagonista, il mio avatar, è un assassino di massa.
Forse non è una scelta giusta di parole, ma nessun uomo nella storia dell'umanità ha ucciso tante persone quando Ezio Auditore, Nathan Drake o John Marston. E' una cosa fredda, questi ragazzi sono assassini efficienti.
Secondo le mie statistiche di gioco, John Marston ha ucciso 910 persone, il 74% del mondo di gioco. Questo rende Billy the Kid ( che uccise 4 persone, anche se si parla di 21 vittime ) un uomo rispettoso della legge.
Hanno ucciso decine, se non centinaia, di persone, più di quante persone siano diventate loro amici. E perché? Perché è divertente. Uccidere in un gioco è funzionale alla meccanica di un videogioco. La morte è un'operazione Booleana ( della serie: vero o falso ): vivo o non vivo. Sei morto? Hai perso. Il tuo nemico è morto? Allora stai vincendo, continua così.
Partecipate al nostro sondaggio sulla maggior parte delle meccaniche di gioco e avrete questo criterio in quasi tutti i casi: le condizioni per il successo sono sempre chiare e decisive. Saltare, picchiare, correre e tirare interruttori sono attività che possono essere misurate con un certo grado di certezza, sempre presenti.
La violenza ha il vantaggio di essere un chiaro indicatore di conflitto, quindi non dobbiamo sorprenderci se l'omicidio è stato adottato come meccanica di gioco principale. Questa è una tendenza che va avanti da secoli, come ad esempio negli scacchi.
Allora qual è il problema?
Quello che mi preoccupa, tuttavia, è la quantità esagerata di uccisioni nei giochi incentrati sulla narrazione. L'omicidio fa male alla narrazione. Dovuto gran parte al realismo narrativo, i videogiochi moderni sono ora affetti da personalità multiple: storie grandi e sensibili e storie violente.
Nei giochi citati da me poco sopra, le trame sono ben scritte, piene di intensità emotiva. Ma quando arriva il momento di coinvolgere il giocatore col gioco, questa narrazione di qualità viene eliminata in favore delle seguenti azioni: correre, saltare, schivare. Uccidere o essere uccisi.
Se è vero che Assassin's Creed II o Red Dead Redemption fanno notare la titubanza dei protagonisti nell'omicidio, l'omicidio di massa dettato dal videogioco rende queste solo mere parole, allo stesso modo del messaggio de Il Gladiatore, che viene compromesso dalla violenza per portare dramma.
Se non siamo in grado di superare questa contraddizione, la narrazione nei videogiochi difficilmente verrà presa sul serio. Anche quando le storie vengono prese più sul serio, il gameplay rimane ridicolmente indulgente.
Nella nostra vita, nei migliori libri o film, la morte è, solitamente, un evento tragico e sfortunato, rappresentato in molti casi da un fallimento o gran perdita. Ma nei giochi, a meno ché non accada in un filmato, la morte è così comune che è di grande impatto quanto uno starnuto, quasi un motivo per festeggiare, un trionfo. E quanti sono i giocatori che pensano che avere sia un'ottima storia che tanto sangue sia maledettamente buono?
Siamo in grado di risolvere il problema creando una sintesi più stabile tra storia e gameplay, infondendo i meccanismi del gioco con la narrazione. Purtroppo è più facile a dirsi che a farsi.
Se un designer ha creato un gioco chiamato Terminal Relations, l'unico obiettivo era quello di confortare la vita di nostro nonno colpito da un cancro nei suoi ultimi giorni di vita. E' una questione di emozione, moralità, empatia, religione, identità culturale sono difficili da tramutare in semplici meccaniche di gioco, perché sono fenomeni psicologici.
Quando un gioco vuole iniettare un po' di pathos o filosofia, di solito è tutto gestito da un filmato. Nel corso degli anni questo ha diviso gli interessi e le priorità del game designer e dello scrittore.