certo come tutti gli altri trane i primi due, e sai perchè? Il problema principale de La grande bellezza è l’incapacità essere un film sul vuoto, riuscendo solo ad essere un film vuoto. Come più volte ricordato da dialoghi del film, già Flaubert tentò in tale impresa in ambito letterario, riuscendo poi, a scrivere “solo” Madame Bovary. In realtà l’impresa è ardua in se, e poche volte è riuscita, ma lo è ancor di più ai nostri giorni e in un paese come l’Italia, dove il vuoto è qualcosa di talmente radicato nella società reale da essere, inestricabilmente, connesso con la sua rappresentazione. Per creare un prodotto in grado di andare oltre questa realtà (e quindi rappresentarla nella sua essenza), ci sarebbe voluto un autore di tale portata da eccedere qualsiasi possibilità dell’Italia attuale, ma, forse, anche dell’Italia passata. Già i film di Fellini degli anni ultimi, mostravano la difficoltà di tenere il passo con una realtà che sfuggiva e correva troppo velocemente per essere filmata/fermata da un’unica persona. Figuriamoci poi, se quest’impresa è possibile nella nostra Italia, dove il livello culturale medio è caduto rovinosamente. Premesso quanto sopra, il progetto nasce, quindi, fallito in partenza, ma è ulteriormente compromesso per essere stato affidato ad un regista come Sorrentino, che a parte i primi da due film, si è lasciato incastrare dall'elemento più pericoloso della sua autorialità: Il barocchismo vacuo. Barocco, quindi, privo della capacità di assurgere ad epifania, che già s’intravedeva nei primi film. Qui scontrandosi con il soggetto filmico dell’opera (il vuoto appunto) implode, lacerando la trama filmica e lasciandosi invadere da residui esterni, pubblicitari, Dagospiani, modaioli ecc. anzi, in alcuni frangenti, queste schegge esterne sono addirittura superiori al film stesso, nella capacità di restituire il degrado della società e dell’individuo oggetto del filmare. La regia, purtroppo, non è l’unico dei problemi del film, in quanto ad essa, si accodano elementi ulteriori. Gli attori in primis. Servillo, è qui, più che altrove, teatroso e nemmeno teatrale, come giustamente notato dai Cahiers. Lasciato libero da una vera trama e costretto a recitare battute al limite del pecoreccio intellettuale( si veda la scena della giraffa in cui Servillo chiede al mago se può farlo sparire o quella sul trenino umano della festa che “non va da nessuna parte”), il protagonista si crogiola nel non sense, rimanendo, però, fatalmente ancorato al recitare, cercando di dare senso al suo dire, laddove solo l’assenza a se stesso (Keaton e Bene insegnano) avrebbe potuto salvarlo. Gli altri attori, sono, poi, indecentemente, non in grado, nemmeno, di concepire quale potesse essere il compito a cui venivano chiamati, con un Verdone che recita (e non poteva far altro) come se stesse girando uno dei suoi filmetti peggiori e una combriccola di elementi altri che sfiorano l’autoparodia inconsapevole. Unica a recitare in modo tale da stagliarsi oltre il velo del film, è Sabrina Ferilli, che pare davvero quello che vuole mostrare, risultando dolorosamente persa, al punto da far immaginare che, a differenza degli altri, sentisse effettivamente il peso di quel vuoto tanto cercato dal film e mai trovato. Ulteriore problema, lo si ritrova ascoltando i dialoghi, che, nella ricerca del sublime, cedono alla pochezza da post di facebook, proprio nei momenti in cui maggiore avrebbe dovuto essere il grado di alterità rispetto al parlare quotidiano. In pratica, il film di Sorrentino, è un film pesantemente populista che gioca ad essere opera d’arte. In realtà, lo spettatore viene ampiamente avvertito di questa natura del prodotto, nel dialogo che si svolge tra Servillo e l’artista che prende a testate il muro nella parte iniziale del film. Servillo mette alle strette l’artista, dicendole che non lo può prendere per i fondelli, dato che lui scrive per un giornale letto da gente di cultura che non può essere facilmente imbrogliata da concetti artistici che non possono essere spiegati e, quindi, resi concreti. Chiaramente, si tratta di un messaggio rivolto allo spettatore che così si sente tranquillo, in quanto il Caronte che li guiderà nel viaggio starà sempre li a spiegargli quello che accade. Purtroppo, questa promessa è ampiamente mantenuta. Tutto diviene didascalico, auto esplicativo. Le poche immagini e parole che paiono fuggire da tale oppressione (la ballerina che si muove nel silenzio dietro il vetro oltre cui si svolge la festa, gli sguardi della Ferilli, il brevissimo dialogo con la Ardant tra l’altro) vengono subitaneamente travolte. La grande bellezza è quindi un film completamente fallito? Sì, ma non lo è il suo regista che come molti napoletani (come il sottoscritto, non sa resistere al gusto dell’eccesso. Se saprà sottrarre anziché aggiungere, Sorrentino, potrà ritornare ad essere un buon regista. Non sarà mai un genio, perché non lo è, geni si nasce, non si diventa assumendone la posa.
film mediocre come tutti gli altri suoi film? si come no.