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Watchmen: RECENSIONE


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The Newser

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Zack Snyder ama il rischio.
Questa sua caratteristica è piuttosto evidente. Non pago di provenire dal mondo dei commercial televisivi, i cui registi, a dispetto dei successi conseguiti sul grande schermo, vengono comunque guardati con sospetto e sufficienza dai colleghi dell’Academy (emblematiche, a tal proposito, le esperienze di director come Ridley Scott che, nonostante abbia dalla sua capolavori come Blade Runner, Alien e I Duellanti è stato sempre snobbato dalla giuria degli Oscar, così come David Fincher che quest’anno si è visto soffiare immeritatamente la statuetta dal “milionario” Danny Boyle, regista inglese d’estrazione teatrale). Essere un paria, un “fuori casta” non dev’essere stato abbastanza per lui, se ha deciso di muovere i primi passi nel mondo di Hollywood dirigendo il remake del romeriano “Dawn of the Dead”, andando a “remixare” quello che, insieme a “La Notte dei Morti Viventi”, è forse uno dei punti più alti del politic/horror cinematografico. Poteva risultare un disastro di dimensioni ciclopiche ed invece il film si è rivelato un ottimo rifacimento che, nonostante i non-morti centometristi in stile “28 Giorni Dopo” (pare impossibile non andare a parlare di Danny Boyle in un modo o nell’altro) e “Incubo sulla Città Contaminata”, è riuscito a non tradire lo spirito polemico, beffardo di Romero, aggiungendo delle decise connotazioni apocalittiche evidenziate già in apertura col commento sonoro di “The Man Comes Around” di Johnny Cash. 28 milioni di dollari di budget e 102 d’incasso. Un successo che ha guidato Snyder verso un’opera ancora più ambiziosa: l’adattamento per il grande schermo di “300”, la celebre graphic novel di Frank Miller sulla battaglia delle Termopili, giunta sugli schermi anche sull’onda del buon esito commerciale di Sin City, diretto da Robert Rodriguez e coodiretto dallo stesso Miller. Ennesimo successo, ennesima dimostrazione di talento.
Sarebbe piuttosto facile affermare che con 300 Snyder abbia continuato in qualche modo quel discorso cominciato con la versione cinematografica di Sin City, vivendo in qualche modo di rendita. La realtà dei fatti è ben diversa. La riflessione sulla compenetrazione e rimediazione fra stilemi cinematografici e fumettistici si fa molto più profonda in 300 rispetto al film di Rodriguez/Miller. Laddove in Sin City (e in buona parte anche in The Spirit) possiamo trovare l’assurda pretenziosità di applicare al cinema la grammatica del fumetto, traducendo pedissequamente le vignette in scene nelle quali, a fronte di un’ effettiva eleganza estetica, possiamo trovare una cronica mancanza di cinematograficità, che scade quasi in fastidiosa staticità, in 300 Zack Snyder opera in maniera più intelligente. Magari anche furba. Attinge a piene mani dalla fastosità visiva, dall’opulenza widescreen della graphic novel milleriana, rimaneggia parzialmente la trama aggiungendo il sub-plot dell’intrigo a corte (e donando un ruolo ben più amplio rispetto al romanzo, alla moglie di Leonida) e, ben consapevole che cinema e fumetto hanno molto da condividere, ma restano in ogni caso due media profondamente differenti, traduce sullo schermo il linguaggio del fumetto, dilatando l’azione con l’uso (abuso per alcuni) di ralenti proprio in quei frangenti in cui Miller decide d’incorniciare l’azione in cornici panoramiche o a svolgimento verticale. Il risultato è un'orgia visiva che trasmette fragorosamente tutta la fisicità, tutta la stilizzata violenza del romanzo di Miller. L'estetica dell'effetto speciale viene usata, più che per meravigliare, per comunicare la violenza di corpi che sbattono, di lance che stridono e penetrano la carne spruzzando verso lo spettatore gocce di sangue in CGI.
D’altronde, come afferma il Maestro Will Eisner nel fondamentale “Eisner/Miller. Conversazioni sul fumetto” (Ed. Kappa, 2005, Bologna), con 300, il suo pupillo Frank Miller non stava tanto “infrangendo i limiti del formato tradizionale [del fumetto, ndr.], quanto piuttosto muovendo il punto di vista e sfruttando in modo diverso lo spazio nell’ambito di quel formato: lo stesso motivo per cui io elimino i bordi dalle vignette. Tu affrontavi il lettore nello spazio, che è una cosa completamente diversa”. 300, più che un veicolo di profondi significati è un notevole esperimento per testare le capacità espressive del medium fumettistico e il rispettivo adattamento cinematografico ne è una diretta emanazione.
Archiviata la pratica Miller, Snyder ha preso in mano un progetto che definire ambizioso sarebbe riduttivo: l’adattamento di Watchmen, la graphic novel di Alan Moore e Dave Gibbons unanimemente riconosciuta come una delle più importanti opere letterarie (si, avete letto bene) in lingua inglese del 1900. Quanto basta per attendere coi fucili spianati la nuova pellicola di Snyder.
Ma Zack Snyder ama il rischio.



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