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Avatar e le inutili polemiche. - SPECIALE (Cinema)


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Questa discussione ha avuto 38 risposte

#31
arwen1977

arwen1977
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lo vado vedere domenica, hanno prenotato, ma non so ancora se in 3d o 2d, io preferirei 2d, è troppo lungo e quegli occhialini mi fanno venire il mal di testa....mah vedremo

#32
stelute69

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Sono d'accordo con te.

#33
picsal67

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concordo, vale la pena di andare a vederlo di sicuro solo per gli effetti speciali.
Poi vediamo quando esco.

#34
carvin70

carvin70
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ma se è o sarà il campione di incassi, bisogna vederlo di sicuro

#35
picste96

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devo andarlo a vedere, ne vale la pena

#36
picste96

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domani ci organizziamo per andare, non possimao perderlo

#37
Iuki

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Ieri sera i critici presenti nella sua trasmissione di Rai 1 "Cinematografo", lo hanno quasi completamente stroncato, il più anziano Gian Luigi Rondi lo ha definito con una sola parola: "Baraccone",

Anselma dell'Olio ha risposto con una frase lapidaria ed esibendo un'aria tra lo schifato e il trucido: "E' IL FILM CULTO DI ALQAEDA"...senza aggiungere nemmeno una virgola..., mentre Valerio Caprara, non l'ha stroncato completamente, ma dice che il film nella sua grande tecnica paradossalmente contrappone una storia/film fin troppo classica "tradizionale" per non dire vecchia, molto mielosa e semplicistica, con un piccolo cuore che batte dentro.



AVATAR recensionde di Valerio Caprara (IL Mattino):

Se la domanda fosse «vale la pena di vederlo», la risposta sarebbe sì, naturalmente. Con la raccomandazione di cercarvi lo schermo più grande possibile e l'apparato audio/video al massimo livello. Qualora v'interessi andare al sodo e sapere se il film è bello, la risposta è ancora un sì convinto. Se a questo punto però pretendereste la notizia di un nuovo capolavoro firmato James Cameron, dobbiamo optare per il no: per niente apocalittico, polemico o malevolo, ma pur sempre un no. «Avatar», rigorosamente da vedersi nella profondità di campo suggestiva (ma non sconvolgente) garantita dal 3D, riflette più di una curiosa contraddizione dell'autore. Si tratta, innanzitutto, di un poema fantascientifico officiato sull'altare della meraviglia tecnologica e in particolare dell'avanzatissimo processo di computergrafica denominato performance capture che si fa, però, portatore della più scontata e nostalgica elegia di un mondo primitivo ed ecologico. Una specie di parabola new age o neo hippy inserita nell'ingranaggio colossale e rutilante di un blockbuster di ultima e costosa generazione. Certo davanti a un film che aspira a essere di culto è un po' pedante concentrarsi sulla trama, che dovrebbe e vorrebbe essere a rimorchio di una scrittura inventiva, alcuni personaggi memorabili e un «quid», spesso misterioso, di saggezza, suspense ed emozione. Basterà dire allora che l'ex marine paraplegico Jake Sully viene arruolato nel 2154 per diventare uno degli «avatar» creati dalla scienziata Augustine: corpi biologicamente ricostruiti e geneticamente modificati a perfetta imitazione degli abitanti del tossico pianeta Pandora. La crisi energetica globale ha, in effetti, costretto gli uomini (come sempre rappresentati da sbrigativi e maneschi americani) a cercare di mettere le mani sul prezioso minerale che giace copioso sotto la terra dei Na'vi, umanoidi altissimi, flessuosi, di colore bluastro e muniti di coda e orecchie da felini. Una volta introdotto nella giungla, il nostro eroe farà tutte le terrorizzanti ed esaltanti esperienze possibili in quell'ambientazione a metà strada tra la terra di Tarzan e la (tolkieniana) terra di Mezzo; ma soprattutto conquisterà faticosamente un'empatia «naturalistica» con la bella principessa Neytiri. Si può prevedere, quindi, benissimo, come procederà l'esperimento: anche perché gli affaristi terrestri amano affidarsi a colonnelli a stelle e strisce come Quaritch, una vera macchietta assetata di sangue al cui confronto il personaggio di «Apocalypse Now» che amava «sentire l'odore del napalm al mattino» farebbe la figura del chierichetto pacifista. Insistiamo sulle contraddizioni: Cameron diventa ossessivo, quasi martellante nell'esaltare la fede e la quiete dei nativi di Pandora, ma poi alterna alle sequenze di voli e salti mirabolanti una componente sentimentale debordante e casereccia. È del tutto evidente come la chiave narrativa si rispecchi nei classici film pro indiani della Hollywood progressista: purtroppo, però, in quelli che si limitano a rovesciare banalmente il razzismo - da «Soldato blu» a «Pocahontas» - piuttosto che in quelli tormentati e anti-manichei come «Piccolo grande uomo» o «Un uomo chiamato cavallo». Succede così che siano più convincenti, più divertenti e persino più espressivi gli animali mostruosi di Pandora e le sequenze davvero entusiasmanti siano quelle innescate dai personaggi non sottoposti all'implacabile griglia del politicamente corretto (la doma dei cavalli selvaggi simili a draghi). È il problema di fondo dello splendido, ma un po' labile spettacolo di Cameron: il grande trasporto e la straripante energia indirizzati verso lo stupore visivo e fantastico non ricevono ulteriore impulso dalla ristrettezza dei motivi interiori, esistenziali. A meno che non si voglia dar credito a uscite come quella del colonnello, goffamente estrapolate dal vocabolario dei superati strateghi del superato Bush: «bisogna combattere il terrore con il terrore». Il perno principale su cui ruota «Avatar» resta, in fondo, l'ex marine, interpretato solo diligentemente dall'australiano Sam Worthington; ora, senza fare paragoni ingenerosi con l'Harrison Ford di «Blade Runner», si può dire che il tema struggente del corpo debole e impotente teso a reinventarsi nella libertà insieme mentale e spirituale del sogno sfuma nell'urgenza di condurre i contendenti al conflitto finale dei robot mitragliatori contro i guerrieri con l'arco e le frecce. Ci dispiacerebbe, comunque, trasmettere un'impressione tutta negativa: viene da ridere, infatti, pensando alle polemiche scatenate in questi giorni sulla stampa dagli ultrà dell'autorismo all'italiana in nome dell'«antica» poesia abrogata dalla novità degli effetti. Innanzitutto perché Cameron li surclassa sul piano delle posizioni radicali e dei messaggi anti-occidentali. Poi perché per noi, paradossalmente, il vero difetto di «Avatar» è quello di fare prevalere le vecchie solfe del selvaggio buono & onesto sull'imprevedibile vertigine dei sentimenti futuribili.






AVATAR recensione di Anselma Dall'Olio (Liberal):

Un cult-movie di alQaeda:

Non siamo della schiatta di critici che ha trovato insopportabile Terminator 1 e 2, Aliens e Titanic di James Cameron. Genio monomaniacale e appassionato di effetti speciali, le sue sceneggiature sono storie semplici e forti che reggono bene la forza d'urto della spettacolare tecnologia dispiegata. Dispiace che Avatar, il primo film narrativo del regista dopo Titanic (1997), deluda in parte proprio perché la storia d'amore e le meraviglie pirotecniche sono al servizio di una «filosofia» (parola grossa) New Age, panteista, ambientalista e pacifista talmente pia e conformista, da ricordarci che il mago Cameron è canadese, nazione politicamente convenzionale con i baffi, riscattata dal sorprendente numero di bravi attori comici che produce: Dan Aykroyd (Ghost Busters), Lorne Michaels (produttore di Saturday Night Live), Jim Carrey, Martin Short, Eugene Levy, Seth Rogen e tanti altri.Poi è la patria dell'impareggiabile Mordercai Richler, che ci ha fatto contorcere dalle risate con il suo romanzo La versione di Barney, un best- seller in Italia. Cameron non è noto per il suo umorismo, e alcune battute di Avatar sembrano esilaranti per sbaglio. La scienziata Grace Augustine (Sigourney Weaver), portata in fin di vita all'Albero Sacro dei Na'vi per essere guarita, scruta dalla lettiga la vegetazione particolarissima del giardino incantato degli indigeni, e tra un rantolo e l'altro esclama libidinosa: «Devo raccogliere ei campioni!». Date le sue budella sanguinanti, il pubblico si sganascia, come succede ai funerali. Si può fare benissimo un ottimo film senza sollevare un sorriso (se Titanic aveva momenti spiritosi, non affiorano alla mente) ma sarebbe meglio evitare il già visto, sentito, masticato: il predicozzo ecopacefondaio col cuore in mano. I Na'vi, gli umanoidi che abitano sul pianeta Pandora, sono esseri altissimi, azzurri e atletici, e rammentano la sviolinata sul Buon Selvaggio, che nei western revisionisti di Hollywood negli anni Settanta ha sostituito il clichè degli indiani sanguinari, primitivi sgozzatori e scotennatori di coraggiosi e incolpevoli coloni. In Avatar, il pregiudizio culturale è più manicheo, a parti rovesciate, dei film con John Wayne: indigeni divini, noi mostri assetati di sangue e avidi di denaro. (Ma alcune tribù di pellerossa scotennavano davvero i loro nemici, e i popoli indigeni più a sud fieramente offrivano sacrifici umani alle loro esigenti divinità). Il Popolo azzurro (si raccomanda il maiuscolo) di Avatar si difende con archi e frecce; quando sono «costretti» a uccidere dal solito invadente, infantile, violento umano, una delle temibili bestie che gironzolano per le foreste di Pandora (certi pachidermi con ruspe al posto del naso e enormi ventagli di piume alla Wanda Osiris in testa, o feroci, giganteschi rettili volanti tipo pterodattili o pterosauri) pregano sul cadavere per onorare la sua «energia eterna»: roba che in California ci sguazzano sin dalla fondazione, per non parlare di Madame Blavatsky e Krishna Murti nell'Ottocento e inizio Novecento. Lo storico delle religioni Mircea Eliade si rivolta nella tomba. Unico dettaglio scorretto: i Na'vi sono tutti alti il doppio degli umani e longilinei, con vitini da vespa, nemmeno uno ha un etto di troppo. Sono pronti per gli abiti di stilisti che disegnano per anoressiche, purché provvedano pertugi per le loro code. Non si dice se sono vegetariani, o forse ci siamo distratti, ma con tutta quella venerazione per la vita d'ogni cosa, va da sé e s'addice al loro pacifismo. (Alziamo un calice laico al Cardinale Biffi che ha scritto: «Quando arriverà il nuovo Anticristo, sarà vegetariano, pacifista e aperto al dialogo»). Ma Cameron, regista e sceneggiatore unico, non se ne cura, e serve dosi industriali di Weltanschauung hippy, alternativa, ecologista, appioppando al Popolo una pseudo religione panteista, dove la Grazia arriva attraverso certi insetti volanti che sembrano medusine fosforescenti, e si prega davanti a un Albero (sempre maiuscolo) circondato da liane luminose («È qui che ascoltano le nostre preghiere, e qualche volte le esaudiscono», intona la principessa Neytiri - Zoe Saldana computerizzata - che fa da guida al protagonista e al gruppo di studiosi mandati «sul campo» dalla Terra in un corpo surrogato Na'vi (avatar, appunto). I player di Hollywood respingono con sdegno «le religioni organizzate» in ogni intervista, ma farsene una su misura va benone. In Italia l'ateismo fa fino e illuminato; in America no.

Ecco la trama per chi si trovava in una caverna durante la promozione di Avatar: Jake Sully (Sam Worthington) è un ex Marine paraplegico nel 2054. La tecnologia esiste per ridargli la mobilità con gambe vere, ma la «crisi economica» sulla Terra è forte e l'assicurazione medica garantita a ogni reduce che non può permettersi la spesa. Jake ha un fratello gemello scienziato, morto dopo che lo Stato (qui rappresentato da un «consorzio » dell'industria militare) ha molto investito nella sua preparazione. L'ex Marine in sedia a rotelle ha lo stesso Dna, ed è tosto arruolato per sostituire il fratello ed evitare sprechi all'azienda. Giovanni Ribisi è Parker Selfridge (assonanza con selfish, egoista. Oh, yes), capo spietato della missione Pandora, e il suo braccio armato, il colonnello Miles Quaritch - un caricaturale Alexander Haig - ha il compito di far sgomberare i Na'vi per poter sfruttare indisturbati un minerale prezioso e raro che si trova in abbondanza sotto il loro villaggio, «indispensabile per risolvere la crisi energetica sulla Terra» (dal pressbook). Di solito «dialoganti», i Na'vi non ne vogliono sapere di sloggiare dalle loro terre sacre, e allora il piano degli avidi lestofanti terrestri è di mandare soggetti umani sotto mentite spoglie Na'vi, delle vere e proprie spie, per carpire usi e costumi e convincerli a fare fagotto. La squadra scientifica- antropologica ha tre mesi di tempo per farli ragionare - o saranno stesi da un attacco shock and awe che lévati; ricorda qualcosa? Il Programma Avatar prevede un collegamento della coscienza umana con un surrogato (avatar) geneticamente modificato per sopravvivere nell'atmosfera tossica del pianeta in sembianze Na'vi, mentre il corpo vero s'appisola in bare speciali alla base. Quaritch promette a Jake, a missione compiuta, di fargli avere un paio di gambe nuove di zecca in carne e ossa. Nel frattempo, attraverso il suo Avatar, l'handicappato salterà come uno stambecco. Il regista si sforza di comunicare la gioia del Jake azzurro rinato quando corre e affonda i piedi nel fango, con risultati mediocri. (Il mare dentro, non un capolavoro di film, trasmetteva molto meglio l'estasi di un paraplegi co totale che nei suoi sogni vola sul mare). Cameron ha varato una nuova era tecnologica in maniera formidabile, innovativa, commendevole: ma l'estetica del segno visivo è da videogame e fumetto fantasy, meno originale e ispirato dei gloriosi effetti speciali. Gli animali, le piante, i contorni del pianeta sono divertenti ma artisticamente poca cosa. Cameron non è Moebius.

Nelle scorse settimane si sono lette le più svariate riflessioni sull'effetto Avatar: dalla Fine dell'Attore (per la perfezione del performance capture, che usa solo movimenti, sguardi ed espressioni di attori veri, per poi elaborarli in altre specie al computer) all'impari concorrenza con i film italiani (persino con i cinepattoni, tiè). Ci sono stati interventi che chiosano e criticano il film per la sua sfacciata glorificazione del traditore: Jake è talmente incantato dai Na'vi, da Naytiri e dalla loro svenevole concezione del mondo, e così disgustato dai brutali guerrafondai, sfruttatori e colonizzatori terrestri, che con il gruppetto di scienziati tradisce la sua stessa gente e passa con gli insorti. (Si perdona solo la Trudy Chacon di Michelle Rodriguez, stupenda, tosta aviatrice che chiunque vorrebbe come amica e sodale). Chi non tradirebbe il Grande Satana inquinatore per i purissimi Angeli Ribellli esotici? Il tifo antioccidentale candida Avatar a film-culto di al Qaeda. Lo abbiamo visto due volte. Durante la proiezione stampa predominava l'attenzione alla favola edificante, i dialoghi portentosi e legnosi e si restava delusi. Rivisto, migliora se si seguono solo gli spettacolari effetti speciali in 3D. Nessuno vicino a noi ha subito emicranie o nausee per gli occhialini. La seconda proiezione era di qualità superiore (un'anteprima per i vip) ed era godibile come un biglietto «E» di Disneyland, quello che dava diritto d'accesso a tutti i giochi più cool. Avatar avrà molte candidature all'Oscar. Negli Stati Uniti è uscito da poco The Hurt Locker, per molti critici il miglior film di guerra della storia. Kathryn Bigelow, ex moglie di Cameron, è regista e autrice del film, e si prefigura che i due divorziati potrebbero contendersi l'ambito premio di miglior film. Noi tifiamo Bigelow, non in quanto femmina, ma perché con una frazione del costo di Avatar ha fatto un film teso, magnifico, indimenticabile. Restano alcune perplessità sul film miliardo-di-dollari-in-treweekend. La dottoressa Augustine fuma; è fico, una scienziata americana che accende sigarette a catena in laboratorio, ma Cameron non dà seguito all'unica malizia sfuggita al suo lato oscuro nascosto: peccato. Negli ultimi quaranta minuti il film pacifista esplode in una battaglia epica dove il regista dà fondo al suo abbondante testosterone con un videogioco guerresco: esplosioni, sparatorie, raffiche di mitragliatrici, rumorosi scontri tra gigantesche macchine da guerra si scatenano in un Götterdammerung finale. L'arma più cameronesca è un carro armato verticale a forma di robot, non semovente alla Terminator ma comandato da un soldato al suo interno. In breve: un'opera anticapitalista, antimilitarista e antitecnologica è stata finanziata da Wall Street, finisce in gloria con una sfacciata battaglia epica, ed è l'apoteosi della tecnologia più avanzata. Inforcate gli occhialini, staccate il cervello e sparatevi 'sto Avatar. co totale che nei suoi sogni vola sul mare). Cameron ha varato una nuova era tecnologica in maniera formidabile, innovativa, commendevole: ma l'estetica del segno visivo è da videogame e fumetto fantasy, meno originale e ispirato dei gloriosi effetti speciali. Gli animali, le piante, i contorni del pianeta sono divertenti ma artisticamente poca cosa. Cameron non è Moebius.

Nelle scorse settimane si sono lette le più svariate riflessioni sull'effetto Avatar: dalla Fine dell'Attore (per la perfezione del performance capture, che usa solo movimenti, sguardi ed espressioni di attori veri, per poi elaborarli in altre specie al computer) all'impari concorrenza con i film italiani (persino con i cinepattoni, tiè). Ci sono stati interventi che chiosano e criticano il film per la sua sfacciata glorificazione del traditore: Jake è talmente incantato dai Na'vi, da Naytiri e dalla loro svenevole concezione del mondo, e così disgustato dai brutali guerrafondai, sfruttatori e colonizzatori terrestri, che con il gruppetto di scienziati tradisce la sua stessa gente e passa con gli insorti. (Si perdona solo la Trudy Chacon di Michelle Rodriguez, stupenda, tosta aviatrice che chiunque vorrebbe come amica e sodale). Chi non tradirebbe il Grande Satana inquinatore per i purissimi Angeli Ribellli esotici? Il tifo antioccidentale candida Avatar a film-culto di al Qaeda. Lo abbiamo visto due volte. Durante la proiezione stampa predominava l'attenzione alla favola edificante, i dialoghi portentosi e legnosi e si restava delusi. Rivisto, migliora se si seguono solo gli spettacolari effetti speciali in 3D. Nessuno vicino a noi ha subito emicranie o nausee per gli occhialini. La seconda proiezione era di qualità superiore (un'anteprima per i vip) ed era godibile come un biglietto «E» di Disneyland, quello che dava diritto d'accesso a tutti i giochi più cool.

Avatar avrà molte candidature all'Oscar. Negli Stati Uniti è uscito da poco The Hurt Locker, per molti critici il miglior film di guerra della storia. Kathryn Bigelow, ex moglie di Cameron, è regista e autrice del film, e si prefigura che i due divorziati potrebbero contendersi l'ambito premio di miglior film. Noi tifiamo Bigelow, non in quanto femmina, ma perché con una frazione del costo di Avatar ha fatto un film teso, magnifico, indimenticabile. Restano alcune perplessità sul film miliardo-di-dollari-in-treweekend. La dottoressa Augustine fuma; è fico, una scienziata americana che accende sigarette a catena in laboratorio, ma Cameron non dà seguito all'unica malizia sfuggita al suo lato oscuro nascosto: peccato. Negli ultimi quaranta minuti il film pacifista esplode in una battaglia epica dove il regista dà fondo al suo abbondante testosterone con un videogioco guerresco: esplosioni, sparatorie, raffiche di mitragliatrici, rumorosi scontri tra gigantesche macchine da guerra si scatenano in un Götterdammerung finale. L'arma più cameronesca è un carro armato verticale a forma di robot, non semovente alla Terminator ma comandato da un soldato al suo interno. In breve: un'opera anticapitalista, antimilitarista e antitecnologica è stata finanziata da Wall Street, finisce in gloria con una sfacciata battaglia epica, ed è l'apoteosi della tecnologia più avanzata. Inforcate gli occhialini, staccate il cervello e sparatevi 'sto Avatar.

Modificata da Iuki, 18 January 2010 - 02:41 AM.


#38
Galdor83

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#39
Wolfman

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A parte le cosiderazioni della Dall'Olio, solita frustrata estremista di destra che non viene cagata da nessuno e vede il male in ogni cosa sia anti capitalista, persino nelle poche cose buone del film, come il visual design; Avatar č un filmetto.

Il 3D non aggiunge nulla, la trama č scontata e manichea, ogni scena telefonata dall'inizio alla fine, i personaggi sono stereotipi, i dialoghi banali, alcuni aspetti sono trascurati o incoerenti, non c'č segno di originalitą o autorialitą, OST scarsa.

Molto bello visivamente, spettacolare, con scene di forte impatto, buona Sigouny Weawer, begli effetti sonori, un'ambientezione dal concept interessante, ma non abbastanza approfondito, un messaggio positivo che va al di lą del buon selvaggio contro cattivo invasore, Avatar ha una buona partenza, ma poi si perde nella scontatezza e nelle forzature.

Rimane comunque godibile, ma č ovvio che, sebbene abbia potenzialitą inespresse,ci si aspettava qualcosa di pił, peccato perchč a me queste tematiche piacciono, ma, ad esempio, Mononoke Hime lo distrugge senza pietą.

Il mio voto č un 6, ergo: non mi sento di dire che ho buttato via i soldi del biglietto, ma certo non li spreco per il DVD.




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